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sabato 14 maggio 2011

Lakeside Capital

Lakeside Capital: "Le riforme della giustizia hanno senso, o no?

Dimentichiamoci di Berlusconi per qualche minuto, e vediamo quali sono le diverse proposte di riforma della giustizia su cui tanto si discute.

1. Processo breve: per i reati che prevedono pene inferiori a 10 anni, il processo non può durare più di tre anni in primo grado, due anni in appello e 18 mesi in Cassazione. Quindi in totale 6 anni e mezzo: è comunque una durata non breve, nel complesso. Un cittadino potrebbe rimanere sotto processo per sette anni, ed essere alla fine proclamato innocente: sette anni sono un calvario comunque molto lungo. E per i reati con pene superiori a 10 anni, la durata del primo grado può arrivare a 4 anni; e 5 anni se si tratta di reati di mafia o terrorismo, con possibilità di dilatare i tempi di un terzo se il processo sia particolarmente complesso o “affollato”.

Considerato che l’Italia soffre di una lentezza cronica dei processi, è stata sanzionata dalla UE per la lentezza della giustizia, difficile ritenere questa norma ingiusta o incivile o incostituzionale; magari non è perfetta, ma fare barricate contro e rifiutarsi di discuterne è un po’ ipocrita. Tanto che anche il centrosinistra aveva in passato presentato due disegni di legge molto simili.

2. Riduzione dei termini di prescrizione: si applica solo agli incensurati, e prevede che i termini passino da 1/4 ad 1/6 della pena massima prevista nella seguente frase dell’articolo 161 del codice penale: “in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere”. Secondo un articolo di Italia Oggi, si sta discutendo sul nulla, poiché l’impatto della modifica è di accorciare di pochi mesi i termini, e quindi i processi che ne saranno toccati sono processi che, nella quasi totalità dei casi, sarebbero finiti comunque in prescrizione.

La ratio della norma è quella di distinguere tra incensurati e recidivi, tenuto conto che la norma già distingue i recidivi gravi per i quali il termine non è 1/4 ma 1/2: si può discutere sul merito, e se sia giusta questa distinzione tra incensurati e recidivi. Ma è una questione davvero molto tecnica (si parla di interruzione della prescrizione e termini massimi entro cui tale interruzione può avere effetto), e di impatto pressoché nullo, che ha come obiettivo di trattare gli incensurati in maniera più favorevole dei recidivi: obiettivo è sempre quello di tenere per meno tempo sotto la spada della legge l’imputato. E comunque dovrebbe essere chiaro che la legge non modifica i termini di prescrizione, ma i termini massimi entro cui la prescrizione può essere interrotta: quindi agisce sulla prescrizione in via indiretta. È una norma salva-Berlusconi? No, perché il processo-Mills si prescriverà comunque, avendo pochi mesi per concludere tre gradi di giudizio. Sì, nel senso che gli eviterebbe la prescrizione dopo la sentenza, magari di condanna (ma magari di assoluzione), in primo grado.

3. Inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado: se l’imputato è assolto in primo grado, la sentenza è inappellabile, e quindi l’assoluzione è definitiva. La norma, in una visione liberale della società, è per molti versi sacrosanta: il problema che affronta riguarda i casi di assoluzione in primo grado e condanna in sede di appello. In tali casi, l’imputato non avrebbe più alcuna possibilità di dimostrare nel merito la propria innocenza (la Cassazione, ultimo grado di giudizio, non è giudice di merito, e quindi non discute i fatti, ma l’applicazione corretta della legge). L’unica strada sarebbe la revisione del processo, che però è ammissibile solo in casi limitati.

Nella convinzione che un colpevole libero è meglio sempre e comunque di un innocente in carcere, l’intento è quello di dire che l’imputato deve sempre avere una possibilità di contestare nel merito dei fatti una sentenza di condanna. In quest’ottica, la proposta di riforma non è così assurda, anzi è piuttosto ragionevole. Il dubbio personale è che, per come vanno le cose in Italia (e considerato che i giudici di primo grado hanno minore esperienza di quelli di secondo grado), nel dubbio l’imputato sarà condannato in primo grado, magari con pena lieve ma pur sempre condannato, affinché si possa continuare in appello ad accertare la verità dei fatti.

4. Separazione delle carriere: che si debbano dividere radicalmente le carriere di chi accusa e di chi giudica i cittadini è altra norma sacrosanta. È una garanzia dell’imputato, attuale o potenziale (quindi di ogni cittadino), evitare che inquirenti e giudicanti lavorino nello stesso palazzo, e si considerino, di fatto, dei colleghi. Inoltre, credo non sia così assurdo ritenere che le competenze di un magistrato inquirente debbano essere diverse da quelle di un giudice, e che quindi abbiano dei percorsi di carriera e formativi differenti.

5. Responsabilità civile del magistrato: altra norma assolutamente condivisibile. Oggi, al magistrato che sbagli l’azione di responsabilità può essere intentata solo da un altro magistrato. Insomma, dovrebbe essere un suo collega ad intentargli causa, con il rischio di vendette e ripicche incrociate in futuro (i magistrati sono pur sempre dipendenti pubblici, la cui carriera dipende da tutto fuorché dal merito). Strano che di cause ai magistrati se ne vedano poche, no? La norma, se limita la possibilità d’azione ai casi di dolo o colpa grave, mi sembra assolutamente da condividere. Diverso sarebbe se non limitasse l’applicabilità ai soli casi più gravi: se qualsiasi errore o omissione del magistrato, anche piccola, potesse diventare motivo di azione contro il magistrato stesso, si paralizzerebbe il sistema giudiziario. Come l’eccesso di azioni di responsabilità contro i medici riduce la propensione degli stessi a compiere interventi difficili e rischiosi, così il magistrato finirebbe con l’astenersi da qualsiasi azione di cui non fosse certo al 100% e anche più.

6. Processo lungo. Prevede che una sentenza passata in giudicato non possa essere addotta come prova in un altro processo. Anche questa norma mi pare nel merito condivisibile: non può essere usata come prova contro di me quanto dibattuto e stabilito in un altro processo in cui magari io non ero neanche imputato e nel quale quindi non ho avuto possibilità di difendermi. Quanto alla possibilità di presentare testimoni e prove anche superflue, purché pertinenti, non saprei esprimermi, servirebbe qualcuno esperto (e soprattutto pratico!) della materia per commentare adeguatamente.

7. Intercettazioni. L’articolo 15 della Costituzione recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”. Credo che, allo stato attuale, l’uso delle intercettazioni e la diffusione delle stesse sugli organi di informazione violi abbondantemente questo articolo della Costituzione. Urge provvedimento in materia: non saprei dire se quello proposto dal PdL è condivisibile o meno, ma è sicuramente una posizione più condivisibile di quella di chi nega il problema.

Ora, finiti i cinque minuti di tregua, reintroduciamo Berlusconi nella discussione.

Dunque, mi verrebbe da concludere che le riforme proposte per il sistema giudiziario italiano sono in gran parte condivisibili, soprattutto nelle intenzioni. Magari la forma è perfettibile, ma c’è una parte politica sempre più grande, che ormai va dai neri Fini e Di Pietro ai rossi Bersani e Vendola, passando pure per i bianchi di Casini, che ritiene impossibile discuterne con Berlusconi, perché queste riforme andrebbero a suo vantaggio e quindi sono leggi ad personam che non possono assolutamente essere approvate.

Fatemi capire: in buona sostanza, la posizione di Fini, Di Pietro e Bersani è che non si può riformare la giustizia per colpa dell’esistenza di Berlusconi? Un tantino inaccettabile come visione del mondo, direi. Visione con cui non voglio avere alcunché da spartire.